
«Io e il calcio? Una storia straordinaria!»
Foto: © Meinrad Schade
Cresciuta a Betlemme, Honey Thaljieh, 38 anni, insieme ad alcune amiche ha messo letteralmente «in campo» una squadra di calcio di sole donne diventando il capitano della Nazionale femminile palestinese. Conclusi gli studi in Economia aziendale nella città betlemita, conseguiva un Master in Sport-Management in Europa. Dal 2012 Honey Thaljieh lavora nel reparto Comunicazione della FIFA a Zurigo. Che cosa significa per lei lo sport? E perché è importante che le donne in Palestina giochino a calcio? Ecco l’intervista.
Quando ha scoperto la passione per il calcio?
Da bambina, nei vicoli del nostro quartiere vedevo i maschietti giocare a calcio e volevo essere anch’io dei loro. Il gioco, il dribblare con la palla e il fatto di essere insieme mi aveva entusiasmata. Volevo solo giocare e divertirmi e questo mi rendeva felice.
Come ha reagito la sua famiglia?
Mio padre me lo voleva impedire, in quanto il calcio non fa per le bambine. Aveva paura che mi infortunassi e rimanessi con una pecca come donna e quindi senza futuro. I suoi argomenti però non mi convincevano, anzi provocavano l’esatto contrario. Ero una vera ribelle.
Per lei il calcio è sempre un’espressione di ribellione?
Me ne sono resa conto crescendo. Il calcio femminile è molto più di un gioco. È una esigenza di eguaglianza e di giustizia, di liberazione e di autodeterminazione, un’espressione di speranza in un buon futuro per le donne.
Per lei, come palestinese, ciò riveste un’importanza del tutto particolare?
Certo, e con il mio impegno per il calcio voglio combattere anche i pregiudizi e l’immagine stereotipata nei confronti delle donne palestinesi. Mostrando che abbiamo energia e gioia di vivere, che vogliamo divertirci, cambiare qualcosa e lottare per questo. E che il calcio può essere anche «donna»
In che modo lei è anche un modello per altre donne?
Sono un modello per le ragazze e ne vado fiera. Io allora ero ancora sola e non avevo esempi da seguire. Il calcio, però, mi ha portato via dalle viuzze di Betlemme per approdare alla vetrina FIFA di Zurigo. Una storia meravigliosa, quella tra me e il calcio.
Che cosa ci vuole perché le donne siano apprezzate in questo sport?
Il calcio femminile è andato via via affermandosi. I campionati di calcio femmminile stanno destando molto interesse anche a livello economico. Per molto tempo era un’attività puramente in perdita. Nel 2019 si sono svolti i Mondiali e per la prima volta con totale copertura dei costi. Nel 2023 si svolgeranno in Nuova Zelanda e in Australia e lì si prevede di conseguire addirittura un utile.

Quali sono i suoi sogni?
Sogno che la squadra palestinese si qualifichi una volta per i mondiali. Ciò di cui mi rallegro già ora e di cui vado fiera è che la Palestina sia riconosciuta con membro a pieno titolo nell’Associazione calcistica. Nella politica manca ancora questo apprezzamento. In questo senso il calcio apre nuovi orizzonti.